Reviews | Recensioni

Francesca Bogliolo (Critico d’Arte)

Alla base delle opere di Antonia Pia Bianchimani si trova una filosofia della pittura che narra di profonde riflessioni, guidate da una libertà interiore e creativa. Un apparente senso dell’umorismo nasconde la volontà di costruire metafore sulla natura umana, per condurre chi osserva all’essenza delle cose. Gli oggetti simbolici diventano depositari di una vita segreta, all’interno della quale l’anima trova la sua espressione più vera. Le figure e gli oggetti raramente sono quello che appaiono: essi custodiscono un enigma nascosto, delimitato da una linea simbolica che sembra essere stata scelta tra altre mille possibili.  Il simbolo non rappresenta una fuga dalla realtà, ma una lenta presa di consapevolezza,  favorita anche dall’utilizzo della pittura a olio, al di sotto della quale sembra voler trasparire l’anima delle cose. La sfera immaginaria si sovrappone a quella reale in un delicato equilibrio formale; all’interno del mondo che deriva da questo intreccio si rintraccia l’interiorità dell’artista, che attraverso sottili riferimenti autobiografici svela la propria necessità artistica e un percorso in bilico tra continua ricerca e immutato stupore davanti alla vita. Diafane figure paiono avvolte dall’ambiguità di una maschera rivelatrice, che, come sosteneva Wilde “ci dice più di un volto”. Essa nasconde e al contempo difende l’interiorità, trasfondendo, come da intenti ancestrali, l’essere soprannaturale nelle presenze raffigurate, che diventano foriere di verità.

Se in tutta l’arte moderna la maschera appare come il simbolo della ricerca dell’identità, il lavoro di Antonia Pia Bianchimani si situa all’interno di un percorso coerente che affonda le sue radici in un’epoca antica e parallelamente in una dimensione senza tempo: nell’istante indagato dall’artista l’essere e i sogni si fondono grazie alla linea, che consente di attraversare le dimensioni mantenendo saldo il capo del filo che permette di non smarrirsi. Antonia Pia Bianchimani ricerca, attraverso la sua pittura, la sincerità sotto la persona, intesa nel senso letterale latino che identificava con questo termine la maschera che copriva il capo degli attori di teatro, e che poteva essere diversa in base al numero dei personaggi. Sotto molteplici e possibili identità si nasconde un’Anima Mundi che è motore e corso del tempo, che l’artista tenta di portare alla luce con meticolosità, urgenza e pazienza, nelle sue sfaccettature più vere. 

Ombretta Frezza (Critico d’Arte)

L’opera proposta da Antonia Pia Bianchimani, in occasione di questo primo 42 Art Contest, viene percepita dall’osservatore come un viaggio affascinante e, al contempo, carico di mistero, all’interno della dimensione più intima e profonda del nostro Io. Ciò che colpisce è l’abilità di riuscire a caricare l’immagine di una valenza simbolica, facendo sì che ciò che noi crediamo di vedere con i nostri occhi, non appare realmente com’è. Si diverte, così, a giocare con una realtà simbolica di oggetti che si caricano di un significato che svela un mondo ignoto e intriso di mistero. L’enigma diventa la colonna portante attorno alla quale struttura il suo dipinto.

Guardare quest’opera significa, soprattutto, abbandonarsi ad un gioco in bilico tra realtà e fantasia, proiettati in una dimensione onirica e surreale dove il tempo sembra congelare il suo frenetico svolgersi per riportarci ad un’età innocente, spogliata dagli stereotipi e dalle regole che si fanno costrizioni nel nostro quotidiano andare. Ogni elemento appare ben equilibrato all’interno dello spazio compositivo, portando l’osservatore a cogliere una piacevole atmosfera di serenità e benessere. L’opera non infonde, nonostante l’aura enigmatica che l’avvolge, una sensazione di inquietudine o incertezza ma, al contrario, ci porta piacevolmente a perderci nell’azzurrità del cielo. Il cielo è accarezzato da alcune nuvolette che si rincorrono leggiadre, scherzose e soavi all’interno dello spazio compositivo, delineato dalla forma di un cuore, al cui interno si profila un volto bifronte, anch’esso a forma di cuore, (metà cuore, metà donna) dal collo allungato, che rimanda alle donne dipinte da Modigliani. Questo volto potrebbe essere letto, a mio avviso, come una maschera che cela dietro di sé una recondita verità, che Antonia carica di simbologia, spingendosi al limite del confine del surrealismo, guardando a Magritte. Il cuore diventa la nostra parte emotiva, la sfera emozionale che custodisce la nostra irrazionalità, ciò che in realtà non riusciamo a governare e a controllare con la ratio. È il nostro lasciarci andare ad un bisogno insito nell’uomo, sin dalla notte dei tempi, di amare, di darci completamente ad un altro essere umano senza condizionamenti, di custodirlo e prenderci cura di lui nonostante le battaglie quotidiane offerte dalla vita. Si tratta di un abbandono totale del corpo e dello spirito, dettato da un bisogno di ricongiungersi, dopo un lungo andare senza meta, ad un’altra anima. Corpi vagabondi alla ricerca di un porto sicuro dove finalmente riusciranno a trovare pace al proprio peregrinare, fondendosi l’uno nell’altro, destinandosi al tempo che verrà loro dato.

Il volto di donna è enigmatico, può essere visto frontalmente o lateralmente, l’occhio sembra guardarci e allo stesso tempo rifuggire il nostro sguardo, andando oltre noi, come alla ricerca di un qualcosa di più alto e Infinito. Si tratta della rappresentazione della nostra parte razionale, dove l’intelletto ci porta a trovare una spiegazione a tutto ciò che è contingente ma anche e soprattutto a ciò che si trova al di là di ciò che realmente riusciamo a vedere e percepire. Attraverso la razionalità, esplicata dall’occhio azzurro che rimanda al cielo, si cerca di indagare territori ancora incontaminati e sconosciuti, arrivando a superare ancestrali timori e condizionamenti per giungere alla conquista della parte oscura che porta spesso la nostra mente all’oblio totale e allo smarrimento.

Ciò che colpisce è quindi l’eterna lotta tra razionale e irrazionale, contro la quale l’uomo ogni giorno deve combattere, restando in bilico, cercando di non perdere l’equilibrio. Un gioco di enigmi, ai quali la ragione deve trovare una soluzione e di un mondo emozionale che ci porta ad una verità non del tutto svelata, di sentimenti che sfidano il raziocinio, tendendo a trovare una spiegazione logica anche a ciò che logico e razionale non può essere perché è parte del nostro io più intimo e profondo. L’artista, inoltre, inserisce il numero 42, conditio fondamentale perché l’opera fosse accettata in questo contest, all’interno di una piccola sfera, delicatamente appoggiata sulla spalla sinistra della donna. La sfera è, indubbiamente, simbolo della Terra ma, allo stesso tempo, anche della sfera Metafisica.

Ecco che, ancora una volta, l’artista si muove tra finito e Infinito, tra razionale e irrazionale, tra ciò che conosciamo grazie al bagaglio di nozioni che possediamo e ciò che appare sconosciuto e inafferrabile. Ciò rende affascinante la nostra avventura in questo mondo, sollecitandoci, ogni giorno, a porci domande e soprattutto ad andare oltre i nostri limiti contingenti.

Roberta Gubitosi (Critico d‘Arte)

Le opere di Antonia Pia Bianchimani sono popolate da figure fantastiche e surreali cariche di riferimenti simbolici, storici e mitologici. Spesso l’osservatore è spinto al di là dei binari della logica corrente in un terreno misterioso capace di destare interrogativi e di stimolare diversi livelli di lettura.

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Protagonista è spesso la figura femminile trasfigurata e circondata da richiami al passato in cui l’innocenza e la spensieratezza dell’infanzia si intrecciano con simboli e segni che hanno radici culturali molto lontane nella storia. Quel particolare senso di leggerezza sembra trasparire dal libero e giocoso muoversi delle figure sospese in uno spazio immobile e metafisico. Questa realtà chiara, apparentemente serena, spesso convive con quella “parte oscura” e sconosciuta che si nasconde dietro l’apparenza delle cose e che l’artista esprime nelle contrapposizioni speculari delle immagini.

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Le precarie simmetrie e il ricercato equilibrio lasciano intuire una lunga elaborazione concettuale della struttura compositiva in cui ogni dettaglio viene fissato e si carica di significati solo in relazione al contesto dell’opera. Ogni suo lavoro implica una lunga riflessione ed elaborazione concettuale, nulla avviene per caso o è dovuta a un fare creativo istintivo ed emotivo.

La componente magica e misteriosa conferisce alle sue opere un fascino tutto particolare, accentuato dalla tecnica pittorica estremamente accurata. La particolare costruzione simbolica dell’immagine si accompagna alla profonda ricerca di sintesi grafica e formale.